Nell’era digitale, saper usare il computer non basta più. Aprire un documento, navigare su Internet o utilizzare un’applicazione sono competenze importanti, ma non sufficienti. Bambini e ragazzi hanno bisogno di qualcosa di più: devono imparare a dialogare con le tecnologie, capendo i meccanismi che ci sono dietro e diventando non solo consumatori, ma creatori attivi di contenuti digitali.

È qui che entra in gioco il coding, una disciplina che non si limita a insegnare a programmare, ma che educa a un nuovo modo di ragionare, di affrontare le sfide e di risolvere i problemi.
Il coding è l’apprendimento del pensiero computazionale, cioè la capacità di scomporre un problema in piccoli passaggi logici, di individuare soluzioni e di organizzarle in sequenze di istruzioni che un computer può eseguire.
Può sembrare complicato, ma non lo è. Anzi, i più piccoli spesso imparano più velocemente degli adulti, perché affrontano il coding come un gioco. Esistono piattaforme come Scratch, dove i comandi non sono righe di testo incomprensibili ma blocchi colorati da trascinare e combinare. In questo modo, creare un’animazione o un piccolo videogioco diventa semplice e divertente.
Un altro strumento molto apprezzato è Minecraft Education Edition, che trasforma il celebre gioco di costruzioni digitali in un laboratorio didattico: i ragazzi possono programmare i movimenti dei personaggi o creare mondi personalizzati, imparando logica e creatività senza nemmeno accorgersene.
Imparare il coding non serve solo a chi vorrà diventare informatico o ingegnere. È utile a tutti, perché sviluppa competenze trasversali:
Inoltre, programmare aumenta l’autostima: vedere qualcosa “funzionare” grazie al proprio codice è una grande soddisfazione. Un bambino che riesce a far muovere un robot con le proprie istruzioni impara che anche le idee più complesse possono diventare realtà, se affrontate con metodo.
Non c’è un’età giusta per iniziare. Con i più piccoli si può cominciare con attività di gioco unplugged, cioè esercizi senza computer: ad esempio inventare un percorso da seguire su una griglia, dando istruzioni come “avanza di due passi” o “gira a destra”. Questo insegna a pensare in termini di sequenze.
Con i bambini delle scuole primarie si possono usare Scratch, Minecraft o piccoli robot educativi come Bee-Bot e mBot, che rendono visibile l’effetto del codice.
Con i ragazzi delle medie e superiori si passa a linguaggi veri e propri come HTML, CSS e JavaScript per creare siti web, oppure Python per avvicinarsi alla programmazione più avanzata.

Ogni percorso deve essere costruito su misura. Le lezioni funzionano meglio se sono pratiche, chiare e stimolanti. L’allievo non resta spettatore, ma è protagonista: prova, sbaglia, corregge, migliora. L’insegnante diventa una guida, capace di accompagnare passo dopo passo e di fornire materiali personalizzati per esercitarsi anche in autonomia.
L’errore non è visto come un fallimento, ma come parte naturale dell’apprendimento. Un programma che non funziona subito diventa un’occasione per riflettere, ragionare e trovare soluzioni alternative. È proprio da questa mentalità che nascono la resilienza e la capacità di problem solving, competenze che serviranno in ogni ambito della vita.

Educare al digitale non significa solo insegnare a usare un computer. Significa dare ai ragazzi gli strumenti per diventare cittadini consapevoli e creativi, pronti ad affrontare il futuro con fiducia.
Il coding apre porte: può trasformare un ragazzo curioso in un inventore, una ragazza appassionata di storie in una creatrice di videogiochi narrativi, un gruppo di compagni in un team capace di costruire un sito o una piccola app utile alla comunità.
Con metodo, pazienza e passione, l’insegnamento del coding diventa un investimento prezioso: non solo prepara alle professioni di domani, ma coltiva la capacità di pensare, di immaginare e di costruire il mondo che verrà.