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La preparazione del campione istologico: dal prelievo al montaggio.

Partiamo dalla definizione... l'Istologia è la branca della medicina che si occupa dello studio dei tessuti. Un tessuto non è altro che un insieme di cellule che hanno la stessa morfologia, la medesima funzione e la stessa derivazione embriologica. Grazie a queste due sole definzioni gli scenari che si aprono sono numerosissimi ed i più disparati. Già lo si immagina l'istologo, seduto lì con il suo "migliore amico", il microscopio, ad esplorare quel mondo di cellule per osservarne e descriverne tutte le caratteristiche, con un interesse sempre maggiore man mano che si aumenta il livello di dettaglio. Questa, però, è la sola fase dell'osservazione microscopica, cioè l'ultima del lungo e certosino lavoro dell'istologo, che invece ha dovuto prima pensare a prelevare il campione di tessuto, a renderlo delle giuste dimensioni, a bloccarne i processi di autodegradazione, a renderlo rigido per il taglio, a tagliarlo per ottenerne sezioni sottilissime, a montarlo sul vetrino e a colorarlo sfruttando sostanze chimiche apposite. Tutte queste fasi, insieme, costituiscono il processo di preparazione del campione istologico, il quale permette di poter osservare il campione stesso al microscopio. In questa prima parte, passiamo in rassegna le principali fasi di questa preparazione, aggiungendo pochi dettagli (che verranno approfonditi in seguito) differenziali in base a quale tipologia di microscopia (microscopia ottica vs microscopia elettronica) si decide di utilizzare:

1) Prelievo del campione. Nell'ambito della medicina, per poter condurre la sua osservazione e dunque la sua analisi, l'istologo necessita di una piccola porzione d'organo. Quest'utlima viene, tipicamente, escissa dalla figura professionale del chirurgo di una struttura pubblica o privata in corso di una seduta operatoria, con il quale l'istologo collabora. Questa modalità di prelievo è conosciuta comunemente come biopsia o prelievo bioptico. 

2) Fissazione. Le cellule di un campione tissutale escisso vanno immediatamente ed inesorabilmente incontro ad un processo di autodegradazione, dovuto principalmente all'interruzione del flusso di sangue e della diffusione di ossigeno, che le conduce rapidamente a morte. Purtroppo, tali processi autodigestivi non alterano solo le funzioni delle cellule, ma anche la loro morfologia (forma), che invece è ciò che l'Istologia considera di primaria importanza. Per questi motivi, è necessario fissare il campione bioptico, preferibilemnte subito dopo il prelievo, cioè trattarlo in maniera fisica o chimica per interrompere i processi autolitici prima citati, per conservare la forma cellulare e per ottenere un'"istantanea" delle cellule senza che subentrino nuove modificazioni della loro struttura interna. Più è rapida la fissazione, più la struttura cellulare viene conservata nella configurazione più simile a quella in vivo. La così detta fissazione fisica è una metodica che prevede il rapido congelamento del campione tramite vapori di azoto liquido (quest'ultimo si trova ad una temperatura di circa -196 °C), previo trattamento del campione con un gel crioprotettore. La fissazione chimica, invece, prevede l'uso di sostanze chimiche che, penentrando nel campione immerso al loro interno in maniera centripeta, inibiscono le proteine enzimatiche che partecipano ai processi di autodigestione, bloccandoli. In genere, i fissativi chimici più utilizzati sono aldeidi: la formaldeide è tipicamente utilizzata in microscopia ottica, la glutaraldeide in quella elettronica.

3) Disidratazione e diafanizzazione. Terminata la fissazione, il campione deve essere disidratato, cioè tutta l'acqua contenute nelle sue cellule deve essere allontanata perchè solo così si potrà procedere alla fase dell'inclusione. La disidratazione del campione istologico si ottiene immergendo quest'ultimo in soluzioni idroalcoliche a concentrazioni crescenti, tipicamente secondo questa scala: acqua distillata - alcol 70% - alcol 95% - alcol 100%. Dopo che tutta l'acqua delle cellule è stata sostituita con l'alcol 100%, è necessario diafanizzare il campione, cioè immergerlo in una sostanza chimica che ha la caratteristica di essere miscibile sia con gli alcoli che con le molecole usate per l'inclusione (quindi, il diafanizzante rappresenta un prodotto di transizione che permette di preparare il campione alle fasi successive) e che ha l'obiettivo di rendere trasparente il campione così che potrà essere attraversato con più facilità dal fascio luminoso del microscopio. Il tipico diafanizzante usato in Istologia è lo xilene, ormai sostituito da suoi analoghi perchè meno tossici. Tali sostanze idrocarburiche hanno una struttura chimica aromatica, nello specifico terpenica, motivo per il quale emanano un forte odore di fiori di arancio, estremamente riconoscibile.

4) Inclusione. Avendo rimosso tutta l'acqua dalle cellule del campione e avendola sostituta totalmente con il diafanizzante, è possibile procedere alla fase dell'inclusione, il cui scopo è quello di indurire il campione (spesso, infatti, si tratta di campioni di tessuto molle) e soprattutto di includerlo all'interno di un supporto/mezzo rigido che potrà essere, poi, tagliato per ottenere delle sezioni estremamente sottili. In microscopia ottica si utilizza la paraffina per includere i tessuti. La paraffina è una cera a base di idrocarburi alifatici, in particolare alcani, che può impregnare il campione immerso al suo interno in maniera centripeta allontanando il diafanizzante e prendendo il suo posto. La paraffina è una sostanza apolare, motivo per il quale non avrebbe potuto penetrare nel campione se le cellule di quest'ultimo avessero contenuto ancora acqua, la quale invece è polare. Alla fine del processo, ne risulterà un cubetto bianco di paraffina solida e dura, al centro del quale è "bloccato"/"incastrato" il campione. Per l'inclusione in microscopia elettronica, invece, si fa uso di resine epossidiche ed acriliche, quindi di polimeri altamente viscosi. 

5) Taglio. In microscopia ottica, la fase del taglio prevede l'utilizzo di uno strumento di laboratorio chiamato microtomo, più comunemente della sua variante rotativa (microtomo rotativo). Si tratta di uno strumento sul cui modulo portacampione viene montato il cubo di paraffina orientato secondo quanto necessario e nel cui modulo portalama viene inserita una lama molto simile ad un rasoio manuale. Girando la manopola dello strumento, il modulo portacampione comincia a mouversi in verticale, dall'alto in basso e viceversa, e in avanti, avvicinando progressivamente la faccia del cubetto di paraffina alla lama di una distanza impostata dall'operatore. Tale distanza corrispondere allo spessore delle sezioni di campione che si vogliono ottenere: lo spessore ideale in microscopia ottica è di 5-7 micrometri. Le varie sezioni che via via si ottengono dal taglio al microtomo corrispondono ad un'intera faccia del cubo di paraffina, dunque la porzione periferica di tali sezioni sarà sola paraffina che non contiene materiale utile (il campione, infatti, si trova posto centralmente). Le sezioni vengono, così, portate delicatamente sulla superficie dell'acqua posta all'interno di un bagnetto riscaldato a 37 °C (bagno stendifette): tale operazione ha lo scopo di favorire la distensione delle sezioni e di ammorbidire la paraffina, nonchè di poterle raccogliere su vetrino. Infatti, una volta che le sezioni sono ben distese sulla superficie dell'acqua, vengono raccolte con il vetrino porta-oggetti facendole aderire all'estermità del vetrino stesso. Tale adesione è spontanea e non richiede particolari accorgimenti. Quella appena descrittà è la così detta "tecnica delle fette". In microscopia elettronica, invece, si fa uso di uno strumento che prende il nome di ultramicrotomo, il quale consente di ottenere sezioni spesse qualche decina o centinaio di nanometri. La raccolta delle sezioni si basa sullo stesso principio visto per la "tecnica delle fette" in microscopia ottica.

6) Sparaffinatura e idratazione. Le fasi di sparaffinatura ed idratazione sono fondamentali per poter concludere la preparazione del campione istologico e corrispondono semplicemente al rovescio delle fasi di disidratazione e diafanizzazione viste in precedenza: in tal caso, è necessario immergere le sezioni prima nel diafanizzante (xilene od analoghi) per sparaffinare e, poi, nella serie di soluzioni idroalcoliche a concentrazioni decrescenti (alcol 100% - alcol, 95% - alcol 70%), fino all'acqua distillata, per reidratare il campione. La sparaffinatura è importante per rimuovere la paraffina periferica dalle sezioni che erano state raccolte su vetrino e per allontanare la paraffina che aveva impregnato le sezioni. Tale allontanamento permette, a sua volta, di far penetrare nelle cellule gli alcoli e far sostituire questi con sola acqua durante la reidratazione. In questo caso, la reidratazione ha l'obiettivo di permettere la fase successiva, cioè quella della colorazione, poichè la maggior parte dei coloranti utilizzati in istologia sono coloranti acquosi (non penetrerebbero nelle cellule se in queste vi rimanesse paraffina). Quanto appena descritto vale in particolare per la microscopia ottica. 

7) Colorazione. Le cellule sono naturalmente trasparenti dato che sono costituite essenzialmente da acqua, motivo per il quale per poterle osservare al microscopio devono essere colorate artificialmente per generare un contrasto tra le loro diverse componenti. Le colorazioni utilizzate in microscopia ottica sono principalmente di due tipi in base al meccanismo di funzionamento:

- Colorazioni fisiche. Si basano sull'impiego di coloranti che si sciolgono in determinate strutture del campione senza instaurare legami chimici con quest'ultime. Coloranti di questo tipo sono quelli della serie Sudan e l'Oil-Red'O, capaci di sciogliersi nei lipidi e per questo chiamati comunemente lisocromi, sfruttati in maniera particolare per mettere in evidenza il contenuto lipidico di un preparato istologico. 

- Colorazioni chimiche. Si basano sull'impiego di coloranti che o instaurano legami chimici con le strutture del preparato, soprattutto in base alle loro proprietà ed affinità acido-base, o che per reazione danno un prodotto di nuova sintesi colorato e sarà quest'ultimo a legarsi alle strutture del preparato. Le colorazioni chimiche vengono ulteriormente distinte in base al numero di coloranti che bisogna utilizzare, dunque si avranno colorazioni bicromiche con due coloranti, tricromiche con tre coloranti ecc... La colorazione in assoluto più utilizzata in istologia è la bicromica ematossilina-eosina, la quale sfrutta un colorante acido come l'eosina che colora il citoplasma di rosso/rosa e un colorante basico come l'ematossilina che colora i nuclei di blu-violetto: questi due coloranti, avendo proprietà acido-base diverse e, dunque, un'affinità diversa per diverse componenti della cellula (citoplasma/nucleo), permettono di creare il contrasto e di osservare con agilità il proprio campione. Le colorazioni istologiche verranno approfondite in un altro articolo. 

8) Disidratazione. Ancora una volta si rende necessario disidratare il campione immergendo le sezioni in soluzioni alcoliche a concentrazioni crescenti, fino al diafanizzante (acqua distillata - alcol 70% - alcol 95% - alcol 100% - xilene o analoghi). La reidratazione precedente era servita solo a consentire che i coloranti acquosi potessero penetrare nelle cellule e colorarle, adesso tutta l'acqua deve essere allontanata per l'ultima volta per garantire una conservazione duratura dei vetrini (l'acqua predispone a fenomeni di marcescenza, comparsa di muffe e così via). 

9) Montaggio ("cover-slipping"). L'ultima fase della preparazione del campione istologico è rappresentata dal così detto montaggio, operazione che consiste nel far colare una goccia di balsamo di montaggio (balsamo del Canadà o analoghi) in corrispondenza della sezione raccolta sul vetrino porta-oggetti ed adagiare delicatamente sullo stesso punto il vetrino copri-oggetto (vetrino più sottile e piccolo). Il vetrino copri-oggetto farà espandere il balsamo ed il tutto sarà sigillato, al riparo da invasioni microbiche, e la conservazione di lunga durata sarà garantita. 

Solo al termine di tutte queste fasi, si potrà procedere all'osservazione e allo studio del proprio campione. Alla prossima!

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