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L'apprendimento del latino come patto tra insegnante e studente

L'interazione felice: come la prassi vince sulla teoria

In Occidente, il latino è la “lingua delle regole”. Per secoli, latino e grammatica sono stati sinonimi.

Questa assertività tutta astrazione e niente concretezza spinge ancora schiere di liceali, universitari e oltre a cercare lezioni private per superare i test del proprio curricolo di studi. Scelte didattiche antiquate alimentano lo spauracchio del latino e del greco antico.

Ma l'incanto di queste lingue sta proprio nella complessità, che, stretta in camere stagne, nasconde quell'armonia del sistema che andrebbe valorizzata attraverso il senso profondo di casi, suffissi e prefissi, le strategie per creare composti, gli usi fra loro correlati delle congiunzioni ecc.

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Formule ricorrenti come: «oggi studiamo il congiuntivo; domani, il congiuntivo nelle proposizioni finali; dopodomani, il congiuntivo nelle consecutive» riducono ogni funzione a un pacchetto di dati a se stante, stretti in frasi da tradurre a casa a conferma della “regola del giorno”. Questa rigidità uccide i due pilastri dell'interesse: 1) gusto per la sfumatura; 2) associazioni mentali.

Ogni atto comunicativo sfrutta, contemporaneamente, più mezzi che articolano la singola frase e più frasi tra loro. Analizzare i fenomeni uno per uno – desinenze, declinazioni, modi e tempi verbali, complementi, proposizioni ecc. – riduce una lingua già avulsa dal reale come il latino a un museo di gusci vuoti.

Chi cerca lezioni private merita più rispetto. Sensibilizzare gli studenti alle peculiarità del sistema-lingua li dota di uno strumento analitico nuovissimo – altro che “ripetizioni”. Con un occhio critico, l'allievo trova nelle lezioni private una strategia efficace, tiritera grammaticali comunque a inutili a tradurre senza senso critico.

Ma come colmare il divario tra teoria e pratica? Altrove, si accennava a come soddisfare la volontà di controllo di chi cerca lezioni private quanto all'uso di prefissi e suffissi e agli esiti fonetici connessi. Lo sguardo era dentro le parole. Vedremo ora quanto avviene tra le parole: i complementi dentro una stessa frase (sintassi dei casi) e i nessi subordinanti tra frasi diverse (sintassi del periodo). Partiamo sempre da esempi concreti.

I manuali pressano la realtà linguistica in cassetti isolati: bloccano il senso critico che disambigua i vari valori di desinenze (sintassi dei casi) e congiunzioni (sintassi del periodo). Al contrario, un approccio flessibile è stimolante e aiuta a decidere.

Ribadiamo i due piani di analisi:

  • sintassi dei casi;

  • sintassi del periodo.

Partiamo, allora, dall'inizio.

L'arte della disambiguazione – 1: i casi come rami frondosi (dentro la frase)

Il sistema flessionale del latino è un albero ogni ramo del quale è un caso. Ciascun ramo ha più fronde: diverse funzioni. Restando in metafora, ogni fronda è un complemento. Ogni caso, insomma, “contiene” più complementi, rendendo ambiguo un testo da tradurre e spingendo gli studenti a cercare “ripetizioni” – cioè, lezioni private. Tesa più alla teoria che alla pratica, l'astrattezza deduttiva tradizionale schiaccia tutto in schemi. Il metodo induttivo insegna invece a sfumare: a disambiguare i singoli complementi nascosti dentro i casi.

Fra questi, accusativo e ablativo primeggiano.

Ma, prima, due parole sui termini grammaticali. Ecco uno schema per chi segue lezioni private:

  • Nominativo: attribuito al soggetto, a chi/cosa compie l'azione (al titolare di quel gesto: a chi ne porta il nome”);

  • Genitivo: indica il genere – cioè, l'appartenenza (è uno specificatore – cfr. «urbs Romanorum» = «la città dei romani»);

  • Dativo: relativo al destinatario, a cui si dà qualcosa (cfr. «Mario librum praebeo» = «passo un libro a Mario»);

  • Accusativo: attribuito all'oggetto, a chi/cosa subisce l'azione (è il bersaglio che “accuso” o segno a dito – cfr. «amicum video» = «vedo un amico» = “lo punto con lo sguardo”);

  • Vocativo: relativo a chi o a cosa è chiamato a voce direttamente (es.: « Tu quoque, Brute!» = «anche tu, Bruto!»);

  • Ablativo: relativo a chi o a cosa è tratto da – cioè, discende da una premessa (cfr. «Ferrum aerugine consumitur» = «il ferro è roso dalla ruggine»).

L'etimologia chiarisce i nomi 'accusativo' e 'ablativo'.

L'oggetto è “chiamato in causa” – “accusato” < *ad + caus-ā-t-us, -a, -um – come meta di un movimento: raggiungerlo direttamente o indirettamente significa muoversi o spostare qualcosa. Ecco alcuni esempi:

  1. In Galliam dona tua transtulit = «trasportò i tuoi doni in Gallia»;

  2. Ad Galliam dona tua transtulit = «trasportò i tuoi doni verso la Gallia»;

  3. Per Galliam dona tua transtulit = «trasportò i tuoi doni attraverso la Gallia».

Il corsivo semplice indica oggetti diretti senza preposizione; le preposizioni descrivono un moto specifico verso l'oggetto “accusato”. La differenza è una: nel primo caso, il moto verso il bersaglio è immediato; negli altri, è mediato.

Diretto o indiretto, il moto è l'essenza dell'accusativo: conta più verso dove vado, non da dove parto. Lo confermano i complementi all'accusativo.

d) «(Per) horas tres te expectavi» = «Ti ho aspettato (per) tre ore»;
e) «Propter amicitiam tuam, id facĕre volo» = «Voglio farlo per la tua amicizia»;
f) «Ad utilitatem tuam, id facĕre volo» = «Voglio farlo a tuo vantaggio».

Sia in latino che in italiano, nel tipo d) la preposizione sottolineata e tra parentesi può esserci o no. Dietro questi accusativi distinguiamo vari complementi:

  • Moto a luogo – due tipi: a) e b)
  • Moto per luogoc)
  • Tempo continuatod)
  • Causae)
  • Scopof)

L'azione compiuta in moto è il tratto comune tra questi complementi. Vale anche per il tipo d): ci si può muovere sia nello spazio che nel tempo. Se passo tre ore, io le attraverso.

Quanto al tipo e), se l'azione è svolta “a causa di” inteso come “per riguardo a”, essa procede: è un work in progress che spiega l'accusativo.

I vari tipi di progresso chiariscono il nome e il senso dell'accusativo, questo ramo “molto frondoso” dell'albero dei casi. All'opposto, troviamo l'ablativo. Le funzioni interne a ciascuno di questi due casi sono dunque coerenti e creano un sistema bipartito.

L'ablativo: il caso “che porta via da”

Il nome ab-la-ti-vus deriva dall'aggettivo ab- (punto di origine), unito alla radice -lat- (dal supino del verbo fero, fers, tuli, latum, ferre, “portare”), e dal suffisso -iv-, tipico di aggettivi come additivo, aggressivo, migliorativo, positivo ecc.

Combinando questi elementi, l'ablativo è dunque il caso “che porta via da”. Perciò è la controparte dell’accusativo, che si definisce da un punto di arrivo, così come l’ablativo si definisce da un punto di partenza.

Dopo aver riepilogato le varietà dell’accusativo e il concetto di moto verso una meta, vediamo ora i complementi interni all'ablativo, a partire dai casi introdotti da preposizione:

  • Agente – preceduto da a/ab
  • Argomento – preceduto da de
  • Compagnia – preceduto da cum
  • Distanza – preceduto da a/ab
  • Materia – preceduto da e/ex/de
  • Moto da luogo – preceduto da e/ex/de
  • Origine – preceduto da a/ab/e/ex/de
  • Stato in luogo – preceduto da in

Il contesto aiuta a disambiguare, ma il fatto che una stessa preposizione possa introdurre più complementi spesso disorienta chi traduce, soprattutto quando la preposizione manca, come nell'ablativo semplice.

Il denominatore comune dell’ablativo con preposizione

Osserviamo il filo logico che accomuna i sotto-tipi di ablativo:

  1. Ablativo d'agente«La mela è mangiata da Marco» (a Marco)
    • L'intervento di Marco trasforma la mela: da mela… a mela mangiata.
  2. Ablativo di argomento«Parlo di libertà» (de libertate)
    • La base del discorso è la libertà.
  3. Ablativo di compagnia«Andiamo con i nostri amici» (cum amicis nostris)
    • La concomitanza con gli amici descrive il contesto di partenza.
  4. Ablativo di distanza«Roma è distante da Sagunto» (a Sagunto)
    • La distanza è misurata rispetto a un luogo.
    • Vale sia per lo spazio che per il tempo («Ab urbe condĭta libri»).
  5. Ablativo di materia«Questo è un tavolo di legno» (e/de ligno)
    • Prima viene il legno, poi il tavolo costruito con esso.
  6. Ablativo di moto da luogo«Salpano da Brindisi» (e/de Brundisio)
    • Il luogo di partenza è chiaro.
  7. Ablativo di origine«Gherardello da Firenze» (de Florentia)
    • Il punto d’origine è identificato (posso usare anche a/ab/e/ex).
  8. Ablativo di stato in luogo«Vissero in Etruria» (in Etruria)
    • Il luogo iniziale e la permanenza coincidono.

La varietà nell'unità caratterizza quindi sia l'ablativo (partenza/permanenza), sia l’accusativo (arrivo/passaggio). Questo vale sia con preposizione sia senza. Vediamo ora i complementi contenuti nell'ablativo semplice.

L’ablativo semplice

  • Causavento«Il tetto è caduto a causa del vento»
    • Prima viene il vento, poi il tetto caduto.
  • Causa efficienteaerugine«Il ferro è roso dalla ruggine»
    • Prima viene la ruggine, poi il ferro roso.
  • Limitazionereactionibus«Lento di riflessi»
    • I riflessi misurano la lentezza.
  • Mezzoligone«Scavo con la zappa»
    • Prima prendo la zappa, poi scavo.
  • Mododecore«Agisco con garbo»
    • Il garbo è il modo d’azione.
  • Qualitàpaucis verbis«Uomo di poche parole»
    • La reticenza lo caratterizza fin dall’inizio.
  • Tempo determinatovespere«Arriviamo di sera»
    • È lo “stato in luogo” del tempo.

Il secondo termine di paragone all’ablativo

Un altro riflesso dell’ablativo come caso del “punto di partenza” è l'uso del secondo termine di paragone senza quam.

Perché nella frase «Valerius altior Mario» («Valerio è più alto di Mario»), Mario è all’ablativo semplice?

Perché il senso è: “parto da Mario per verificare quanto è alto Valerio rispetto a lui”. Mario è il punto di riferimento iniziale della comparazione.

Accusativo e ablativo sono “contenitori di funzioni”. L'insegnante di lezioni private gioca un ruolo chiave nel guidare gli studenti ad affrontare la traduzione di passi densi di casi ambigui.

Quanto visto finora riguarda gli elementi interni alla stessa frase. Ma che dire dei nessi esterni, quelli che legano una frase all’altra? Anche qui, una congiunzione subordinante può assumere valori diversi all’interno di un tipo più ampio?

Ecco la risposta.

L'arte della disambiguazione – 2: la fonte comune dei nessi subordinanti tra le frasi

Le lezioni private basate sul metodo induttivo-comparativo permettono agli studenti di superare l'approccio tradizionale delle “ripetizioni”. Il principio guida è «scomporre per ricomporre». Dopo aver osservato la coerenza dei complementi interni a un caso, come fronde di uno stesso ramo, possiamo ricondurre a un antico insieme unitario anche le congiunzioni e i pronomi subordinanti.

L'insegnamento scolastico, ancora fortemente legato a un metodo deduttivo-assiomatico, tende a separare rigidamente queste due categorie, concentrandosi più sulla descrizione dello stato delle cose che sulle ragioni alla base di tali fenomeni. Questo approccio prescrittivo rischia di soffocare la creatività degli studenti. Tuttavia, il desiderio di comprendere e padroneggiare un sistema linguistico è alimentato dalla possibilità di esplorarne la struttura. Gli studenti vanno guidati all'interno dei meccanismi della lingua, non solo esposti a nozioni statiche come se fossero reperti museali.

In questa prospettiva, le lezioni private possono trasformarsi in un'opportunità per coloro che cercano un semplice supporto nello studio, fornendo invece un'analisi critica delle categorie grammaticali.

L'origine pronominale delle congiunzioni subordinanti

Partiamo da un'idea fondamentale: “in principio era il pronome”. I manuali di grammatica spesso omettono di sottolineare che le congiunzioni subordinanti derivano tutte da antichi pronomi. Tuttavia, la radice comune risulta evidente se consideriamo che molte di esse iniziano per qu-, riconducibile ai pronomi corrispondenti.

Alcuni esempi emblematici:

  • quamquam (benché)

  • quia (poiché)

  • quō (affinché)

  • quoad (finché)

  • quod (giacché)

Salta subito all'occhio la somiglianza con il suffisso “-ché” nelle traduzioni italiane.

Il metodo deduttivo tradizionale ignora questa continuità logica tra pronomi e congiunzioni subordinanti. Spesso si mette in guardia dall’equivocare quod congiunzione e quod pronome relativo neutro (qui, quae, quod), senza approfondire il motivo di tale sovrapposizione. Il metodo induttivo, invece, riconosce e valorizza questa affinità, aiutando lo studente a distinguere le due funzioni di quod e a comprenderne la comune origine pronominale. Inoltre, un approccio comparativo mostra come questa relazione sia presente non solo nel latino, ma anche nelle lingue romanze e in inglese.

Un confronto tra lingue evidenzia questa parentela:

  • Italiano: L'amico che abita qua si chiama Marco e assicura che il vicinato è tranquillo.

  • Spagnolo: El amigo que habita aquí se llama Marco y asegura que el vecindario está tranquilo.

  • Francese: L'ami qui habite ici s'appelle Marc et assure que le voisinage est tranquil.

  • Inglese: The friend that lives here is called Mark and assures that the neighbourhood is tranquil.

In tutte queste lingue, il pronome relativo e la congiunzione dichiarativa derivano dallo stesso tipo di elemento subordinante.

Il continuum tra pronomi e congiunzioni

Oltre ai pronomi relativi e alle congiunzioni, il gruppo comprende forme indefinite, interrogative ed esclamative, tra cui:

  • Pronomi: aliquis/aliquid (qualcuno/qualcosa), quis/quid (chi/che cosa), quisquam/quidquam (alcuno/alcuna cosa), quisque/quidque (ognuno/ogni cosa), quisquis/quidquid (chiunque/qualunque cosa).

  • Avverbi: quā (attraverso dove?), quam/quantum (quanto), cur < quūr (perché?), quō (verso dove?), quōmodo (come?), quandō (quando?).

  • Aggettivi: qualis/quale (quale).

  • Congiunzione: cum < quom.

Ma cosa accomuna questi elementi subordinanti in qu-?

Se analizziamo frasi come:

  • «Non so dove tu vada.»

  • «Non so come tu faccia.»

  • «Indagano su chi sia.»

  • «Ci chiediamo perché tu lo accetti.»

  • «Sapete quanto costa.»

  • «Decidiamo quale via seguire.»

otteniamo proposizioni secondarie interrogative indirette. In ciascun caso, il nesso introduttivo funge da elemento subordinante che lega la principale alla dipendente.

Il contributo dell'insegnante nelle lezioni private

Un buon insegnante deve:

  1. Evidenziare la somiglianza funzionale tra elementi subordinanti etimologicamente imparentati.

  2. Mostrare le diverse sfumature della subordinazione.

  3. Superare le categorizzazioni tradizionalmente rigide.

  4. Contestualizzare l’uso dei nessi subordinanti.

In particolare, la disambiguazione emerge chiaramente quando il nesso subordinante può essere:

  • a) una congiunzione subordinante;

  • b) un pronome subordinante.

Tre esempi in latino illustrano questa dinamica:

  • A) nihil cogitas, quod ego non audiam (Cicerone) → Non escogiti niente che io non venga a sapere.

  • B) non quod te oderim, sed quia parum studes, te vitupero (Seneca) → Ti rimbrotto non perché io ti odi, ma perché tu studi poco.

  • C) Gallis erat impedimento quod satis commode pugnare non poterant (Cesare) → Per i Galli era di ostacolo il fatto che non potevano combattere abbastanza agevolmente.

Nel primo caso (A), quod è un pronome relativo neutro, il cui valore si chiarisce grazie al contesto (nihil). Nel secondo caso (B), quod è una congiunzione causale, riconoscibile sia per l'assenza di un pronome neutro antecedente, sia per la coordinazione con quia. Nel terzo caso (C), quod introduce un’intera proposizione-soggetto.

Conclusioni

L'analisi della comune radice pronominale delle congiunzioni subordinanti aiuta gli studenti a sviluppare una comprensione più profonda della grammatica. Nel prossimo articolo, illustreremo nel dettaglio le tecniche specifiche per disambiguare i nessi subordinanti polifunzionali.

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Massimo
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