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Tra positivismo e giusnaturalismo: Come funziona l'applicazione del diritto?

 

 

In passato, in tempi non troppo remoti, il diritto seguiva le regole del positivismo, cioè quell’approccio al diritto per cui il giudice, ovvero l’operatore del diritto in senso lato, che fosse chiamato ad applicare una norma deve farlo, nel modo più puro possibile, senza procedere ad attività di interpretazione della norma perché l’applicazione del diritto deve essere quasi meccanica.

Questo metodo applicativo del diritto, così arido e freddo, diede vità ad un termine partcolare, mutuato dalla lingua francesce, per cui il giudice era detto "bouche de la loi" e cioè, letteralmente "la bocca della legge". Questo implicava che il giudice fosse chiamato ad applicare la legge così come era scritta, in un modo quasi meccanico, senza ragionare sulla ratio legis della norma ovvero sugli interessi giuridici che, nel merito di quella questione, andavano tutelati.

Questo approcio è stato necessariamente superato nel tempo, e più precisamente nel 1800 con l'avvento dell'illuminismo, che ha permesso di rinnovare i canoni di funzionamento del diritto e ciò, sia sui profili interpretativi che su quelli applicativi. 

Nasce quindi il giusnaturalismo. Ci si rese conto che l’applicazione del diritto doveva essere razionale e logica sicchè, il giudicante che fosse chiamato ad applicare una norma, doveva farlo tenendo conto di tutti i principi propri dell’ordinamento giuridico di appartenenza, evitando che l’applicazione di quella norma in modo meccanico potesse (o possa) concretizzarsi in una contraddizione dell’ordinamento medesimo a cui ella appartiene. E così fu.

In verità, il positivismo non è mai stato applicato in modo puro, un esempio tra tutti, tanto semplice da sembrare assurdo, riesce perfettamente ad inquadrare la differenza tra le due correnti: l'art.575 del codice penale, l’omicidio.

Il testo normativo, attualmente in vigore, stabilisce: 

“Chi cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore agli anni 21”.

La norma così redatta, se applicata in modo “positivo”, si esporrebbe - almeno nell'ordinamento italiano - all’illegittimità Costituzionale per manifesta violazione del principio di uguaglianza formale ex art.3 co.1 Cost. - e quindi della famosa regola per cui "La legge è uguale per tutti" - essendo che la lettera normativa non contempla le donne di talché, l’omicidio della donna, resterebbe sempre impunito.

Ma, è ovvio che il termine uomo” contemplato nell’art.575 c.p. sia omnicomprensivo e che quindi la norma, applicata in modo giusnaturalista e quindi, ragionata e razionale, punisca anche l’uccisione delle donne.

Questo è un esempio di scuola, tuttavia è un ragionamento che può largamente applicarsi a tantissime norme e che permette anche, la sopravvivenza delle stesse ogniqualvolta il testo della norma non sia chiaro ovvero possa apparire discriminatorio. 

Quanto appena illustrato è strettamente connesso all'evoluzione della complessità dell'ordinamento giuridico ed alla c.d. Teoria della Piramide delle fonti, postulata da Hans Kensel, adottata in Italia formalmente nel 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione ma era già stata anticipata, seppure in modo molto embrionale, dall’art.1 delle preleggi del Codice Civile del 1942.

 

Ma di ciò, ne parleremo in un altro articolo.

 

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