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Perché/Cosa/Come imparo? - Motivazioni, contenuti e modalità dell'apprendimento linguistico

Letuelezioni

Molti di noi, purtroppo, sono cresciuti con l'idea - profondamente sbagliata - che andare a scuola, fare i compiti - in una sola parola, apprendere - sia un dovere.

Ebbene, ciò può dirsi vero solo se si intende il dovere verso sé stessi, e dunque il dovere in termini di conoscenza, il dovere di istruirsi per essere un cittadino e una persona migliore. Certo.

Ma troppo spesso ci si è ritrovati - e ancora oggi ci si ritrova - a sentirsi in dovere di soddisfare le richieste dell'insegnante di turno, il quale ci chiede, talvolta con intimorente pressione, di rispondere a tutti i suoi quesiti, e - ovviamente - pretende che le nostre risposte siano corrette ed esaustive.

Eppure, cari studenti di tutte le età, non è questo il punto. L'insegnante è lì per voi. Non il contrario. Sfruttate l'opportunità, sfruttate le sue competenze e conoscenze per ottenere il massimo da lui\lei, così da potervi arricchire a vostra volta.

Studiare, imparare, apprendere - o meglio - acquisire è prima d'ogni altra cosa un piacere. Deve esserlo. Altrimenti è tutto inutile; inutile andare a scuola, inutile leggere libri su libri, inutile prendere lezioni private. E se proprio ci sentiamo "costretti" è ancora possibile che si tratti piuttosto di un bisogno: "devo capire la matematica per poter diventare un ingegnere", "ho bisogno di conoscere i fondamenti della storia dell'arte se voglio diventare una guida turistica" - e ancora - "devo imparare l'inglese perché quando viaggio ho bisogno di comunicare".

Ecco che giunge un'altra parola chiave: comunicare.

Mi occupo di didattica delle lingue, perciò questa tematica mi sta particolarmente a cuore, ed è importante che chi si approcci all'apprendimento di una qualsiasi lingua straniera si ponga lo stesso problema e rifletta sugli atteggiamenti che intende adottare.

Troppo spesso mi capita che gli studenti mi chiedano "okay, teacher, tutto molto bello, ma quando facciamo grammatica?". Ecco... ma che cos'è la grammatica? Che cos'è una regola se non possiamo applicarla o se non sappiamo quando e a cosa serva veramente?

Un'attività svolta in lingua è centinaia di volte più utile e sana di un "esercizio", alla classica maniera in cui tutti ben lo conosciamo. Una lingua meccanica, che necessita di regole e "formule" in quantità, che risponde a precise strutture immutabili e fisse... è il latino. Una lingua cosiddetta "morta", non perché sia meno interessante o importante delle altre, anzi, è bene conservare le nostre radici secolo dopo secolo, millennio dopo millennio. Ma bisogna sottolineare un essenziale distinguo se la lingua alla quale ci stiamo approcciando è invece viva e diffusa. Che si tratti del francese, dell'inglese, dello spagnolo, così come del giapponese, del russo o del congolese... Tutte hanno in comune una cosa: servono a comunicare. Le persone che le parlano - e le scrivono - non si pongono continuamente il problema della correttezza formale, non si mettono ad elaborare strani e intricati ragionamenti degni di un'equazione matematica per poter comunicare un messaggio all'interlocutore. Certo, il detto messaggio deve essere di senso compiuto, è chiaro che per ottenere ciò è necessario avere un minimo di conoscenza e competenza di base, non c'è dubbio. Ma quando andiamo ad imparare quell'idioma non è detto che si debba partire dall'alfabeto, o dagli articoli (se presenti in quella data lingua), o ancora dall'accurata coniugazione dei verbi. Pensiamo a ciò che ci viene del tutto naturale ogniqualvolta incontriamo qualcuno: cosa facciamo? Di sicuro salutiamo, poi facciamo qualche domanda di circostanza, per poi intraprendere una conversazione di durata variabile che riguardi uno o più temi. Ebbene, è di azioni che si parla. Di atti linguistici. Noi usiamo la lingua, in quanto strumento a disposizione, per scambiare informazioni, per raccontare, per domandare qualcosa, per commentare, per conoscere gli altri e per parlare di noi, delle nostre idee. Allora mi chiedo: perché mai tutte lo scopo dovrebbe essere diverso se utilizziamo una lingua che non è la nostra? L'obiettivo, in fondo, non è sempre quello di parlare con la gente, di comunicare, appunto?

Concentrarsi sulla grammatica è sacrosanto, ma non prima di aver capito che sapere non equivale certo al saper fare. Se sono capace di costruire un present perfect coniugando ausiliare e verbo principale, non è detto che poi sia in grado di utilizzarlo nella giusta situazione, nel giusto contesto.

Inoltre, a volte si trascura l'aspetto emozionale che caratterizza il processo di apprendimento. A tutti noi sarà sicuramente capitato di aver "paura di parlare", di "buttarci", insomma, quando l'insegnante - specie se madrelingua - ci ha fatto una domanda in lingua straniera alla quale eravamo sì in grado di rispondere, ma di cui ci spaventava la possibilità di commettere degli "errori", di pronunciare male qualcosa, di sbagliare tutto, con la conseguenza di essere in qualche modo sanzionati dal docente, che ci guarda storto o scuote la testa, che ci puntualizza cosa abbiamo sbagliato o ci corregge dall'alto della sua magna sapientia.

Però nella vita, nel mondo reale questo non accade. Quante volte avete aiutato - o perlomeno avete provato a farlo - un turista che si era perso per le strade della vostra città? D'accordo, il suo italiano lasciava a desiderare, ci può stare. La nostra è una lingua molto complessa, rendiamocene conto. Ma non avete comunque capito di cosa avesse bisogno quel forestiero? Forse gli avete chiesto un paio di volte di ripetere, di illustrarvi sulla mappa cosa stesse cercando, e nel frattempo lui si sforzava di comunicarvi qualcosa, un messaggio, una richiesta d'aiuto. Stava facendo qualcosa con il suo piccolo bagaglio di competenza dell'italiano. Stava mettendo in pratica la sua conoscenza.

Ecco allora che tutto si fa più chiaro, ecco che il nostro obiettivo primario emerge dalle mille e più motivazioni possibili che ci conducono all'apprendimento - o meglio, acquisizione - di una lingua.

E che ne è della motivazione? Di quel sentimento positivo, di quella spinta interiore che ci solletica e ci fa sorridere quando ci accorgiamo di aver capito cosa ha detto l'altro, quando ci facciamo coraggio e finalmente gli rispondiamo e lui, di rimando, continua il suo discorso in lingua senza intoppi da entrambe le parti?

Quel pizzico di piacere, quella sensazione di potere che proviamo anche solo per un "Hi, I'm Prudenzio and I come from Italy" affermato con convinzione, quella è la motivazione. La stessa che alcuni - si spera sempre meno - insegnanti ammazzano tutte le volte che sbuffano, tutte le volte che perdono la voglia di farci comprendere, tutte le volte che passano l'ora di lezione a chiacchierare con i compagni "più bravi" lasciando tutti gli altri all'oscuro di quel che si dicono e di quel che fanno.

No. Non lasciatevi demoralizzare. Non è giusto. E, sopra ogni cosa, NON ODIATE LA LINGUA! Non è colpa sua! L'inglese, il portoghese, l'hindi, l'italiano, il cinese... Tutte le lingue sono meravigliose e meritano di essere apprese con gioia, mai con costrizione né con atteggiamenti negativi, di rifiuto e blocco.

Con le lingue possiamo fare un mucchio di cose. Persino giocare. Persino chattare e conoscere gente che vive dall'altra parte del mondo. Persino cantare in un musical, recitare poesie, leggere libri di avventura o di cucina.

Basta trovare la chiave giusta, quella che ci apre la porta verso un mondo ancora inesplorato al quale possiamo accedere liberamente, senza giudizi altrui, senza paranoie, solo con la voglia di comunicare e, perché no, divertirsi.

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