L’articolo 3 co.1 della Costituzione, come noto, recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, ove il co.2 recita “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” .
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L’art.3 della nostra Costituzione, senza impiegare artifici linguistici troppo complessi, rappresenta il fondamento giuridico, nell’ordinamento italiano, di due – e dico due – principi sociali fondamentali: il principio di uguaglianza e, per secondo, il principio di non discriminazione.
Tale principio, ormai affermato negli stati di Diritto, è altresì contenuto in molteplici fonti di diritto internazionali, tra le quali, in ambito Europeo, spicca la Carta di Nizza – detta anche Convenzione Europea dei Diritti Umani – che dedica a principi citati, gli artt.20 e 21.
Tale assunto ci è utile per comprendere che i principi in esame non sono solo “lettere in aria” bensì, dei principi di diritto di natura precettiva – e quindi vincolanti – idonei a vincolare l’esercizio della potestà legislativa nazionale ed internazionale.
Occorre tuttavia fare un passo indietro. All’indomani dell’entrata in vigore della Carta costituzionale, si riteneva in modo assolutamente restrittivo, che il disposto dell’art.3 andasse inteso nel senso che “tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge” – lettura corrispondente alla concezione liberale del principio di eguaglianza secondo la quale le norme di legge dovrebbero rivolgersi a tutti i consociati con formule soggettivamente universali come “chiunque”, “tutti”, “il cittadino” e le uniche disparità all’interno dell’ordinamento giuridico avrebbero dovuto legarsi a ragioni di ordine obiettivo - in altre parole, si faceva leva sui divieti espressi dalla Costituzione – che erano sostanzialmente inesistenti - per avvalorare una lettura in chiave di parità formale del precetto di eguaglianza secondo la quale il legislatore sarebbe tenuto ad uniformare le discipline normative.
Ben presto ci si rese conto che tale interpretazione, in termini fattuali, impraticabile per il semplice motivo che, in modo molto banale, non è affatto vero che siamo tutti uguali ma, al contrario, le differenze esistono e lo Stato di Diritto deve coglierle e, in virtù del principio oggetto di studio, deve costruire un assetto normativo che sia il più possibile tendente ad annullare tutte le eventuali ed ipotetiche discriminazioni derivanti proprio da tali incongruenze.
Ovviamente, tra queste norme in esame, ritroviamo quelle che tutelano la parità di genere. Trattasi di leggi che si inseriscono nel filone di pensiero citato per cui, non è vero che uomo e donna sono “uguali” ma, proprio per delle differenze intrinseche legate anche ad aspetti biologici – e spesso purtroppo sociali – devono essere posti in condizioni di parità.
Ebbene, in Italia, l'azione legislativa negli ultimi anni si è focalizzata, da un lato, sul mondo del lavoro, che è stato oggetto di numerosi interventi normativi volti a riconoscere equiparazione dei diritti e maggiori tutele alle donne lavoratrici: in questa direzione vanno, in particolare, le disposizioni sulle Quote rosa, quelle volte a favorire la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro - anche attraverso un bonus per servizi di babysitting - e il supporto alla genitorialità, nonché le disposizioni per il contrasto delle cd. dimissioni in bianco (trattasi di una pratica di lavoro scorretta che consiste nel far firmare le dimissioni al lavoratore - in bianco, appunto - al momento dell'assunzione e quindi nel momento in cui la posizione dello stesso lavoratore è più debole, pratica riguardante prevalentemente le donne lavoratrici e che viene “riscattata” dal datore nell’eventualità di una gravidanza della lavoratrice medesima).
Sono stati inoltre rafforzati gli strumenti di sostegno finalizzati alla creazione e allo sviluppo di imprese a prevalente o totale partecipazione femminile talché, ad esempio, l'attuazione dell'art. 51 della Costituzione, sulla parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive, incidendo sui sistemi elettorali presenti nei diversi livelli (nazionale, regionale, locale e al Parlamento europeo), nonché sulla promozione della partecipazione delle donne negli organi delle società quotate.
Una crescente attenzione è stata inoltre dedicata alle misure volte a contrastare la violenza contro le donne Mediante la legge 19 luglio 2019, n. 69, nota come "Codice Rosso” perseguendo tre obiettivi: prevenire i reati, punire i colpevoli e proteggere le vittime in via immediata e tempestiva.
Ed ancora, la centralità attribuita alle questioni relative al superamento delle disparità di genere, è stata ribadita anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia. Il Piano infatti, individua la Parità di genere come una delle tre priorità trasversali e pertanto, tre gli interessi da essi perseguito, spicca quello della promozione dell'occupazione femminile
Tra le prime modalità di intervento, vi è quello dall'inserimento nei progetti finanziati dal PNRR e dai Fondi REACT-EU (programmi finanziari che mirano a riparare i danni sociali ed economici causati dalla pandemia di COVID-19 e a preparare una ripresa verde, digitale e resiliente) e FCN di previsioni dirette a condizionarne l'esecuzione all'assunzione di giovani e donne, anche per il tramite di contratti di formazione/specializzazione che possono essere attivati prima dell'avvio dei medesimi progetti. In particolare, con specifici interventi normativi, in Italia sarà previsto l'inserimento nei bandi gara di specifiche clausole con cui saranno indicati, come requisiti necessari e in aggiunta premiali dell'offerta, criteri orientati verso tali obiettivi e definiti, tra l'altro, tenendo conto degli obiettivi attesi in termini di occupazione femminile al 2026 dei corrispondenti indicatori medi settoriali europei.
A tale previsione è stata data attuazione con l'art. 47 del D.L. 77/2021 che, allo scopo di perseguire le finalità relative alle pari opportunità, sia generazionali che di genere, e di promuovere l'inclusione lavorativa delle persone disabili, prevede l'adempimento di specifici obblighi, anche assunzionali, nonché l'eventuale assegnazione di un punteggio aggiuntivo all'offerente o al candidato che rispetti determinati requisiti, nell'ambito delle procedure di gara relative agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal Dispositivo di ripresa e resilienza (di cui ai regolamenti (UE) 2021/240 e 2021/241) e dal Piano nazionale per gli investimenti complementari (di cui al D.L. 59/2021), finalizzato ad integrare gli interventi del PNRR con risorse nazionali
Altri interventi meritevole di menzione sono:
Nel settore della istruzione e della ricerca, sono prospettati i seguenti interventi:
A ben vedere la normativa citata non rappresenta altro che la punta dell iceberg della legislazione italiana in materia ed è, di tutta evidenza, che la normativa cosi come si è evoluta, rappresenta un enorme passo avanti dell'ordinamento Italiano se si pensa che, moltissimi concorsi pubblici sono rimasti esclusi alle donne per circa 12 anni oltre l'entrata in vigore della Costituzione.
E tu, cosa pensi si possa fare per azzerare la disparità di genere in Italia?