«Ma parli arabo?» Un’espressione che nella nostra lingua è diventata sinonimo di qualcosa di astruso, complicato e incomprensibile. Ma l’arabo è davvero così complicato? Come mai si è guadagnato una reputazione simile? E soprattutto, la sua cattiva reputazione è meritata?
L’arabo, insieme all’amarico, all’ebraico e al tigrino, appartiene alle cosiddette lingue semitiche. Questo la rende quindi molto diversa da lingue come l’italiano o l’inglese, che rientrano invece tra le cosiddette lingue indoeuropee.
Come le altre lingue semitiche, l’arabo forma il suo lessico a partire da una radice trilittera che racchiude l’idea o il concetto fondamentale. A questa radice si aggiungono prefissi, infissi e suffissi che ne modificano il significato.
Anche in italiano abbiamo un sistema simile, solo in misura ridotta.
L’arabo presenta due forme distinte e separate: una scritta e una orale. Questo fenomeno è noto come diglossia.
La TV e la musica hanno reso il dialetto libanese e quello egiziano le varianti di arabo più conosciute.
L’arabo moderno standard (fuṣḥā) è la lingua ufficiale di oltre 22 paesi, dal Nordafrica (maghrib) al Medio Oriente (mashriq). È usato soprattutto dai media e nei testi scritti.
L’arabo presenta un suono unico, sconosciuto ad altre lingue: la lettera ḍād. Si tratta di una caratteristica talmente peculiare che i popoli arabofoni sono soliti riferirsi al proprio idioma come alla «lingua del ḍād».
Eppure, anche se presenta queste peculiarità, l’arabo non è affatto una lingua troppo difficile da imparare, soprattutto grazie alla sua grammatica lineare e coerente che non conosce eccezioni. Imparata una regola grammaticale, la si può applicare sempre e comunque. Questo significa, ad esempio, che non esistono lunghe e noiose liste di verbi irregolari da imparare a memoria. Sotto questo aspetto, l'arabo è più semplice perfino dell'inglese.
Lo “scoglio” costituito dall’alfabeto si può superare abbastanza facilmente: bastano due settimane circa per impararlo e qualche mese per padroneggiarlo con relativa disinvoltura. È vero, imparare un nuovo sistema di scrittura non è mai semplice, ma in confronto ad altre lingue (come ad esempio il cinese) l’arabo possiede un vero e proprio alfabeto. Occorrono solo buona volontà e un po’ di impegno per memorizzare le 28 lettere da cui è costituito.
Le lettere dell’alfabeto sono tutte consonanti. Queste costituiscono infatti «lo scheletro» di una parola: sono loro a trasmettere il vero significato. Le vocali corrette vengono aggiunte dal lettore secondo il contesto, proprio come un chi parla italiano può completare abbreviazioni come «cfr.» (confronta), «pp.» (pagine) o «kg» (chilogrammo).
Esistono comunque 14 simboli che servono a indicare la corretta pronuncia di una parola o la sua funzione grammaticale. Questi simboli, che vengono aggiunti sopra o sotto le lettere, vengono utilizzati solo in testi scolastici per principianti e nei testi religiosi, come la Bibbia e il Corano.