I primi mesi del Liceo Classico sono in molti casi impiegati a studiare argomenti che nel periodo immediatamente successivo, per non dire negli anni seguenti, rivestiranno un ruolo minimo o nullo. La legge del trisillabismo o del trocheo finale, ad esempio, che riguardano gli accenti, non saranno mai davvero utili allo studente di Liceo; la legge di Grassmann e la metatesi quantitativa avranno qualche applicazione nella terza declinazione, quando comunque dovranno essere studiate da capo; l'apofonia è un fenomeno linguistico fondamentale, non solo del greco, ma serve soprattutto ad affrontare lo studio dei temi verbali, che costituisce in qualche modo la "soglia" che segna il passaggio all'approccio "maturo" allo studio della lingua, il tratto propriamente d'indirizzo del Liceo Classico.
Insomma si tratta di argomenti distanti dai problemi cognitivi che affliggono lo studente alle prime armi: leggere e scrivere in greco, innanzitutto, poi comprendere il rapporto tra categoria grammaticale, comportamento morfologico, voce lessicale - insomma usare il vocabolario - e funzionamento sintattico, flessione e concordanza.
Queste competenze metalinguistiche - che solo virtualmente erano state toccate dal curricolo di studio della Scuola Secondaria Inferiore - sono ciò che propriamente verrà testato a fine anno, nel giudizio finale o semmai nell'esame di riparazione a settembre, ma nel frattempo le prime interrogazioni consistono di nenie interminabili di regole e regolette imparate a memoria senza nessuna possibilità di applicazione pratica. Ne deriva che molti studenti e studentesse delle medie abituati a ripetere in modo pedissequo e decontestualizzato grandi volumi di nozioni continuano, tra settembre e ottobre, ad ottenere i voti più alti anche al più prestigioso Liceo, per la temporanea rassicurazione delle loro mamme e papà. Ma poi verso novembre cominciano ad inciampare nei primi ostacoli cognitivi veri e propri, finché intorno a Natale si rendono conto di non averci capito proprio niente, ed è a quel punto che generalmente entra in gioco l'insegnante di ripetizioni, per chi se lo può permettere.
L'insegnante di ripetizioni al Liceo, un po' come il logopedista alle scuole elementari, ha il compito di ristrutturare specifici schemi metalinguistici, insomma di insegnare a tradurre. Nel frattempo si confronta con le richieste specifiche dell'insegnante disciplinare e con lo specifico contratto didattico del contesto classe, insomma cerca di prepararlo per le interrogazioni. La sua competenza fondamentale deve consistere nel sapere quali regole sono e resteranno fondamentali negli anni successivi e quali invece tornano utili con minore frequenza, ma ancor più quali apprendimenti sono propedeutici agli altri, e di conseguenza quali argomenti vanno affrontati per primi e quali possono essere inquadrati correttamente solo in seguito. In ogni caso studiare da soli, senza insegnanti di ripetizioni, è generalmente consigliato: anche se i voti saranno probabilmente più bassi, lo sviluppo dell’autonomia e delle competenze di gestione del processo di apprendimento (il famoso “imparare a imparare”) saranno un importante vantaggio in futuro.
I primi argomenti "seri" (cioè che hanno un impatto immediato sulla traduzione) che si studiano al liceo sono la coniugazione del presente indicativo, la flessione dell'articolo e la prima declinazione: la flessione dell'articolo è davvero molto importante, e se siete al primo anno di liceo classico e per qualche motivo l'avete trascurata correte a ripeterla perché, come si usa dire, dovete saperla come l'Ave Maria. Ma non basta saperla a memoria: si tratta di due griglie di 3x4=12 caselle, ordinate attraverso 2 variabili: genere (MFN) e caso (NGDA) in ognuna delle quali è scritta una parola che ha una traduzione (per il neutro si sceglie una tradizione fittizia - tipo "la cosa"): il, la, la cosa; del, della, della cosa; al, alla, alla cosa; il oggetto, la oggetto, la cosa oggetto (per l'accusativo ancora una traduzione fittizia). Ogni parola va conosciuta nella sua posizione e traduzione. Per imparare bene potete fare così: prendete un foglio e disegnate uno schema 3x4 (per il singolare, poi farete lo stesso col plurale), poi riempitelo a memoria di tutti gli articoli (non importano spiriti e accenti) e relativa traduzione.
Ci siete riusciti? No? allora copiate dal libro le parole che mancano (anche tutte, in caso) poi ricominciate da capo.
Non importa sapere tutto in ordine, cominciate da quello che vi ricordate: il metodo è costruito secondo il vecchio e solido principio di partire dal noto per arrivare all'ignoto, più l'altro solido e altrettanto antico principio di collegare regolarità morfologiche a posizioni spaziali.
Direte: non ci voleva certo un genio a inventarlo. Sicuramente, ma ci vuole tanta esperienza per poter dire con sicurezza che funziona molto meglio di ogni altro. Finito ciò (avete finito quando siete in grado di riempire tutto lo schema senza consultare il libro), se avete a disposizione un partner, allenatevi a voce: prima fatevi chiedere gli articoli uno per uno (in ordine sparso) dall'italiano al greco, ritornando su quelli che eventualmente avete sbagliato, poi viceversa. Poi avete finito. MA se volete proprio fare filotto (è tutto lavoro che vi torna dopo) potete allenarvi a recitare ogni articolo in verticale, ὁ, τοῦ, τῷ, τόν, etc.
Lo stesso sistema funziona per lo studio della prima declinazione, solo che qui avete tre categorie di nomi: alfa impuro lungo, alfa puro, alfa impuro breve. Vi conviene scriverli in quest'ordine, accompagnati dall'articolo. Così vi renderete conto che le desinenze dei temi in alfa impuro lungo sono identiche a quelle dell'articolo; le desinenze in alfa puro, invece, terminano tutte in α (beh sennò che alfa puro sarebbe ?), e quelle in alfa impuro breve sono miste... ma non in modo casuale: i casi diretti (Nominativo, Accusativo) sono in alfa, quelli indiretti in eta. Cominciate a familiarizzare con questa organizzazione dei casi che è fondamentale nelle lingue classiche.
Questo per quanto riguarda le tre forme della declinazione dei nomi femminili (che sono la stragrandissima maggioranza, non solo perché sono di più, ma perché comprendono i nomi a più alta frequenza). Ora, a rigor di logica, per cercare le parole sul vocabolario in fase di traduzione non vi serve nemmeno questo. Basta sapere una delle tre forme (tipo: quella in alfa lungo), sapere che al posto dell'alfa ci può essere una eta, e che sul vocabolario la parola si può trovare in eta o in alfa, e cercare prima l'una poi l'altra. L'informazione che vi continuerà a servire negli anni futuri è che l'alfa, quando si allunga, può diventare, e in genere diventa, eta. Poi c'è, ahimé, quello che serve per l'interrogazione. Qui bisogna saper dire quando l'alfa è puro (quando è preceduto da epsilon, iota, rho). Saper distinguere tutte e quattro le possibilità (di cui due si declinano allo stesso modo) e saperle declinare. Non difficilissimo, comunque.
Veniamo ai nomi maschili: qui la grandissima difficoltà per gli studenti consiste non tanto nell’imparare la flessione (che è uguale a quella femminile tranne al nominativo e genitivo) quanto piuttosto nel comprendere correttamente la differenza tra le due parti del discorso: “nome” e “aggettivo”. Non dimentichiamo che, in termini assoluti, è la distinzione più tarda (risale al Medioevo) e quindi anche la più labile: si pensi soltanto, in italiano, alle parole “rosso” o “dottore”. Tuttavia nelle lingue classiche questa distinzione è fondata su una solida qualità morfologica: mentre esiste piena corrispondenza tra genere e flessione per quanto riguarda l’aggettivo (e anche il pronome e l’articolo), ciò non vale affatto per il nome. In generale, la flessione di un nome dipende dalla declinazione cui appartiene, senza riguardo per il genere.
Ciò si traduce, sul piano sintattico, nel ruolo dominante del nome all’interno del sintagma cui appartiene. Si può dire così, per farlo capire a tutti: il nome è il capo assoluto del sintagma. Egli nasce in una declinazione, che ne determina la flessione, e con un solo genere, che poi manterrà tutta la vita. Tutti gli altri membri del sintagma si adeguano al genere del nome: essi sono come dei servi che possono diventare maschi, o femmine, o neutri a seconda del genere del loro padrone, hanno questa proprietà camaleontica. Ciò verrà ripreso più avanti con lo studio dei primi aggettivi, ma intanto si deve mostrare allo studente come questa struttura fondamentale della grammatica classica sia espressa nella voce lessicale del vocabolario, dove il nome è seguito dal genitivo (l’elemento che ne determina univocamente la categoria flessiva) e poi dall’articolo (che ne stabilisce il genere). L’indicazione del genere serve a farci capire come si devono comportare tutti gli altri elementi del sintagma, cioè le parole che concorderanno con il nome.
Per far toccare con mano quest’ultimo concetto allo studente, e mostrargli che non si tratta di una chiacchiera astratta, ma di una consapevolezza linguistica che deve guidare l’applicazione pratica, gli si chiederà di imparare a flettere un nome maschile della prima declinazione insieme all’articolo. È estremamente utile che alterni la flessione di nomi maschili e nomi femminili accompagnati dal relativo articolo, finché non ha padronanza completa. Si tratta di una competenza propedeutica ad affrontare correttamente lo studio degli aggettivi, e che può essere introdotta nella pratica del greco prima che in quella del latino, in cui come si sa gli articoli non esistono.
Fatto ciò, direi che abbiamo eviscerato tutto il possibile dallo studio della prima declinazione, e lo studente può uscire con amici e amiche e divertirsi come la sua età merita che faccia.