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La riforma Costituzionale del Titolo V n.3/2001

Con la riforma del titolo V della nostra Costituzione, avvenuta con la legge costituzionale n.3/2001, il nostro ordinamento è mutato fortemente.

Questa riforma, in particolare, ha riscritto le norme di cui agli artt.117 e 118 della carta Costituzionale, permettendo una maggiore armonizzazione della potesta legislativa nazionale rispetto agli ordinamenti esteri e, dall'altro lato, ha permesso una migliore  e più efficace distribuzione delle competenze interne tra i vari organi statli e territoriali di cui è composta la nostra pubblica amministrazione. 

Ma procediamo con ordine.

L’art.117 riformato ci dice che: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. L'articolo 117 riformato stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni, nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Dalla lettera normativa è possibile dedurre diverse considerazioni.

In primo luogo è chiaro che la norma stabilisca che la potestà legislativa nazionale è distribuitaà tra piu "autorità" e, dall'altra parte, che tale potere sia esclusivo dello Stato, ma solo in alcune materie, (tra cui politica estera, immigrazione, difesa e Forze armate, moneta, giurisdizione e norme processuali, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali).

Invece, le materie di legislazione concorrente riguardano, ad esempio, rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica, tutela della salute, alimentazione, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia.

L’art.117 così come è stato riscritto dà piena attuazione all’apertura dell’ordinamento giuridico Italiano, assorbendo al suo interno quello Internazionale (in verità anche l'art.10 della Costituzione aveva timidamente avanzato, già dal 1948 questa possibilità, tuttavia, a differenza dell'art.117, il primo è sempre stato visto come una norma programmatica e non precettiva).

Da qui deriva il principio di unità e non contradizione secondo il quale l’ordinamento giuridico è uno solo e dunque, nella Piramide delle Fonti (illustrata nell'articolo precedente) si pongono, immediatamente dopo la Costituzione (che rimane la primissima fonte del diritto e quindi all’apice della piramide) le così dette norme interposte, le quali sono rappresentate da tutte le norme di diritto internazionale e/o comunitario che transitano nel nostro ordinamento proprio mediante l’art.117 (e quindi i trattati e le convenzioni di diritto internazionale come il Trattato di Amsterdam o la Convenzione di Roma nonché i Regolamenti Comunitari e le Direttive dell’UE).

Queste norme non devono quindi considerarsi esterne all’ordinamento giuridico Italiano ma, appartenenti ad esso, con la conseguenza che le fonti di diritto prima citate come la Legge ordinaria, quelle regionali, i regolamenti amministrativi ecc., devono necessariamente adeguarsi e rispettare, non solo la Costituzione ma altresì, il diritto internazionale e comunitario.  

Tale affermazione non è del tutto retorica ma, a ben vedere, ha um'incidenza diretta nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto nazionale italiano.

A titolo esemplificativo si riportano due esempi, inerenti all'eterointegrazione contrattualle (ovvero quel fenomeno per cui, in alcuni casi, la legge si applica ai rapporti contrattuali a prescindere dalla volontà contraria delle parti, sostituendosi alla loro volontà):

a) L’art.1339 c.c. “Inserzione automatica di clausole” secondo cui “Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge o da norme corporative sono di diritto inseriti nel contratto anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti”.

b) L’art. 1374 c.c. “Integrazione del contratto”, secondo cui “Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità”.

Perché queste norme sono un esempio cangiante dell’evoluzione dell’ordinamento Italiano in conseguenza di tutto quello che abbiamo detto?

Ebbene, è di tutta evidenza che il concetto di “legge” contemplato ad oggi dal codice civile non è lo stesso che i padri del codice civile contemplavano nel 1942, perché quando questo è entrato in vigore gli ordinamenti giuridici erano isolati e potevano comunicare solo mediante trattati di diritto internazionale, che regolavano materie distanti dal privato cittadino, per cui: se in passato questo fenomeno – dell’eteroregolamentazione – riguardava solamente le norme di diritto interno, ad oggi riguarda tutte le norme che appartengono all’ordinamento, tenendo in considerazione che questo è formato in modo unitario, sia dalle fonti di diritto nazionale, sia dalle fondi di diritto internazionale e comunitario.

Diversa è invece la questione relativa all'art.118 della Costituzione riformato.

L’evoluzione avvenuta negli anni ’90 ha avuto il proprio culmine con la su citata riforma costituzionale n.3/2001 con cui è stato modificato l’art.118 Cost. La norma così modificata ha dato piena attuazione alla modifica intercorsa all’articolo 117 Cost e, dall’altra parte, ha permesso al pubblico di compiere quegli atti che in passato erano circoscritti ai privati cittadini, espandendo i canali di contato con gli stessi (per cui se fino agli anni ’90 il pubblico dialogava con il privato solo a mezzo di appalti, concorsi e gare, successivamente a questa evoluzione fu utilizzabile il contratto permettendo anche, di porre i privati che contraessero determinati rapporti con il pubblico, sullo stesso piano e quindi, ottenendo una tutela giuridica più efficace).

L’art.118 Cost. stabilisce che: Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Quindi i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni (nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117 e altre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali). Quindi, lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni, favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

 Ma cos’è e come funziona il principio di sussidiarietà?

Il principio di sussidiarietà si riferisce ai rapporti tra i diversi livelli territoriali di potere, esso quindi prevede che le decisioni siano prese al livello più vicino ai cittadini, in modo da garantire una maggiore partecipazione democratica e una maggiore efficienza nell’azione amministrativa

Esso può essere inteso in due accezioni:

a)     È detto Verticale quando comporta che, da un lato, lo svolgimento di funzioni pubbliche debba essere svolto al livello più vicino ai cittadini e, dall’altro, che tali funzioni vengano attratte dal livello territorialmente superiore solo laddove questo sia in grado di svolgerle meglio di quello di livello inferiore;

b)     È detto Orizzontale, quando si riferisce alle relazioni tra enti che occupano lo stesso livello di potere quando questi possono svolgere compiti differenti, e quindi si coordinano tra loro, per ottenere un fine comune.

In conclusione, la riforma costituzionale del 2001, ha permesso una più efficace distribuzione dei poteri legislativi e amministrativi e ciò, da un lato, sul versante "esterno" quello del nuovo 117, stabilendo dei vincolo di carattere trasnazionale mentre, dall'altro, quello del nuovo art.118. capovolgendo la distribuzione dei poteri amministrativi e valorizzando la funzione degli enti pubblici e territoriali fisicamente più vicini alla posizione dei consociati.

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