Quando mi hanno parlato per la prima volta di incognita, ricordo di essermi sentito come davanti a un mistero. Non era un termine che usavo nella vita di tutti i giorni e sembrava qualcosa di complicato. Poi ho capito che in realtà l’incognita è solo un numero che ancora non conosco e che devo scoprire. Di solito viene rappresentata con la lettera x, ma può essere y, z o qualsiasi altra. Trovare l’incognita significa individuare quel valore che rende vera un’equazione.
Un esempio che mi ha aiutato a capire è stato questo: x + 3 = 7. Qui l’incognita è x e la domanda è chiara: quale numero, sommato a 3, mi dà 7? La risposta è 4, perché 4 + 3 fa 7. Da lì ho compreso che il concetto di incognita non è astratto, ma molto concreto: è il valore mancante da scoprire.
Quello che mi ha sorpreso è scoprire che le incognite non esistono solo sui libri di matematica. Quando calcolo quanti soldi mi mancano per comprare qualcosa, sto risolvendo un problema con un’incognita. Quando penso a quanto tempo mi serve per arrivare in un certo posto, sto implicitamente lavorando con una variabile da scoprire. Anche in geometria capita spesso: trovare il lato mancante di una figura è un esempio quotidiano di ricerca di un’incognita.
Il primo metodo che ho imparato è stato quello dell’isolamento. Si tratta di lasciare l’incognita da sola da un lato dell’equazione. Se mi trovo davanti a x + 5 = 12, basta togliere 5 da entrambi i lati per ottenere x = 7. L’idea fondamentale è che qualunque operazione io faccia da una parte, devo farla anche dall’altra. Questo principio di equilibrio è la chiave per non sbagliare.
Il metodo della sostituzione l’ho conosciuto quando abbiamo iniziato a studiare i sistemi di equazioni. Per esempio, se ho x + y = 10 e x – y = 4, dalla prima posso dire che x = 10 – y. A quel punto sostituisco questo valore nella seconda equazione e ottengo un’espressione con una sola incognita. In questo modo diventa più semplice trovare il risultato.
Il metodo del confronto invece è utile quando ho due equazioni che coinvolgono la stessa incognita. Ad esempio, 2x + 3 = 11 e x + 5 = 9. Se risolvo la prima ottengo x = 4, se risolvo la seconda ottengo di nuovo x = 4. Il confronto mi conferma che il risultato è corretto. In casi più complessi il principio è lo stesso: trovare due espressioni equivalenti e confrontarle.
Un esercizio tipico che ho svolto tante volte è 3x – 5 = 10. Aggiungendo 5 a entrambi i lati ottengo 3x = 15. Dividendo per 3, arrivo a x = 5. Questo tipo di equazioni mi ha dato sicurezza perché con pochi passaggi arrivo alla soluzione.
Quando sono arrivato alle equazioni di secondo grado la difficoltà è aumentata. Un esempio classico è x² – 5x + 6 = 0. Qui ho imparato a scomporre: (x – 2)(x – 3) = 0. Le soluzioni sono x = 2 oppure x = 3. All’inizio sembrava complicato, ma col tempo ho capito che si tratta di riconoscere uno schema.
Uno dei problemi che ricordo meglio è questo: la somma di due numeri è 20 e la loro differenza è 4. Scrivo le due equazioni, x + y = 20 e x – y = 4. Sommando ottengo 2x = 24, quindi x = 12. Sostituendo, scopro che y = 8. In questo modo i numeri sono 12 e 8. Vedere i problemi trasformarsi in equazioni mi ha fatto capire quanto la matematica sia utile nella vita reale.
Quello che conta davvero è esercitarsi tanto, perché più ci si allena, più si impara a scegliere il metodo giusto senza esitazioni.