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Brusca rottura del credito da parte della banca: violazione del principio di correttezza!

Accade in modo assai sovente che le Banche dopo aver concesso ad un'impresa (sotto forma di ditta individuale o di società) un'apertura di credito in conto corrente (contratto espressamente disciplinato dagli artt. 1842 e seguenti del codice civile: c.d. “fido bancario” o “castelletto”), richiedano, prima della scadenza convenuta nel contratto, il rientro immediato del fido concesso o provvedano ad una drastica riduzione della somma per cui era stata originariamente pattuita l'apertura di credito.

Ciò può avvenire per varie ragioni; una di queste può essere costituita dal fatto che la banca concedente il fido si sia accorta di una segnalazione di tipo negativo (ossia la segnalazione di un mancato pagamento: in termini non giuridici si usa l'espressione di “cattivo pagatore”) effettuata da un'altra Banca con la quale lo stesso Imprenditore del pari intrattiene rapporti di conto corrente: ma detta segnalazione di mancato pagamento può essere avvenuta per errore dovuto a mera superficialità da parte dell'altra Banca. O, ancora, per il semplice fatto che un Imprenditore opera in un settore particolarmente colpito dalla crisi economica (mi riferisco al periodo precedente a quello attuale, dove la crisi in numerosi settori, si è gravemente accentuata).

Questa richiesta di rientro immediato delle linee di credito concesse crea un danno immediato ad un'impresa e viola in maniera palese i principi di buona fede nell'esecuzione del contratto (principio questo sancito dall'art. 1375 c.c.) e di correttezza nei rapporti tra il debitore ed il creditore, previsto dall'art. 1175 c.c.

Quest'ultima norma, di importanza fondamentale per il nostro Ordinamento, stabilisce che il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza. Ciò significa che ad un comportamento improntato ai canoni della correttezza è tenuto non solo il debitore (che deve adempiere esattamente l'obbligazione), ma anche – e, in determinati casi, come nei rapporti in cui da una parte vi è un piccolo - medio imprenditore e dall'altra un colosso bancario – l'obbligo della correttezza incombe maggiormente in capo al creditore, ossia alla Banca. Ciò per il solo fatto che la Banca -al momento della sottoscrizione del contratto di apertura di credito in conto corrente (o di qualunque altra tipologia contrattuale mediante la quale concede del credito) – si trova inevitabilmente in una posizione di forza rispetto alla piccola – media impresa ed è, per questo solo fatto, in grado di “dettare le regole del gioco”.

E' del tutto evidente come una richiesta di rientro immediato, nell'ambito delle linee di credito accordate, metta letteralmente “in ginocchio” una piccola – media impresa, la quale (e ciò viene affermato a prescindere dalla particolare situazione di grave crisi economica determinata dall'attuale pandemia, nel senso che è una situazione che si protrae da vecchia data) deve far fronte a tutta una serie di pagamenti già preventivati: fornitori, dipendenti, contributi INPS per costoro e per lo stesso Imprenditore, adempimenti fiscali ed eventuali rateizzazioni già programmate con il Concessionario della Riscossione – qualunque denominazione si voglia dare al medesimo – qualora vi siano rateizzazioni in corso e scadenze immediate di rate; oltre ai contratti di locazione per gli immobili aziendali, qualora non siano di proprietà dello stesso imprenditore. Insomma una programmazione di pagamenti che inevitabilmente viene resa impossibile dalla repentina chiusura, o drastica riduzione delle linee di credito da parte della Banca.

L'orientamento della Corte di Cassazione sul tema è ormai granitico (Cassazione 5 marzo 2009 n. 5348; Cassazione 11 giugno 2008 n. 15476; n. 3462 del 15 febbraio 2007). In queste sentenze la Suprema Corte ha stabilito che rientrano tra i principi generali delle obbligazioni quelli, sopra citati, secondo cui le parti di un rapporto contrattuale devono comportarsi secondo le regole della correttezza e che il contratto debba essere eseguito secondo buona fede.

Il principio della buona fede c.d. oggettiva (ossia reciproco dovere di tenere un comportamento onesto, leale, collaborativo: comportamenti che dovrebbero improntare tutte le relazioni giuridiche), permea tutte le fasi contrattuali: dalla fase delle trattative, a quella della sottoscrizione, a quella dell'esecuzione - ossia dello svolgimento del rapporto contrattuale di durata quale è quello tra Banca e Cliente – a quello dell'interpretazione del contratto.

Che questo principio coinvolga non solo la fase esecutiva del rapporto contrattuale, ma anche la fase delle trattative e della sottoscrizione del contratto, quando una delle parti sia un Istituto di Credito, è evidente, data la maggiore forza contrattuale della parte più potente, che finisce inevitabilmente per manipolare il rapporto contrattuale.

Più volte la Cassazione ha richiamato il principio sancito dall'art. 1175 Codice Civile nei rapporti bancari (principio che -ed è questo l'aspetto più rilevante sotto il profilo del sistema normativo - costituisce un'estrinsecazione del principio costituzionale della solidarietà sociale sancito dall'art. 2 della Costituzione), ed ha affermato che il recesso immediato comunicato da una Banca dal rapporto di apertura di credito, anche se detta facoltà di recesso è pattuita nel contratto, sia da considerarsi illegittimo qualora si estrinsechi - considerato il complessivo contesto in cui il rapporto si svolge - in condotte vessatorie e idonee a determinare gravi danni all'impresa.

Si può considerare, per concludere questo argomento su è opportuno tornare successivamente con ulteriori riflessioni, la Sentenza della Cassazione n. 6923 del 2 aprile 2005, ove la Suprema Corte ha affermato che “ occorre valutare se il recesso operato dalla banca, quantunque corrispondente al verificarsi di una circostanza contemplata in contratto come giusta causa, non costituisca invece una reazione così spropositata rispetto a quanto in concreto accaduto da apparire non già espressione di un legittimo potere di autotutela privata della stessa banca, quanto piuttosto un pretesto da questa adoperato per reagire alla decisione del cliente di revocare il mandato di gestione patrimoniale in precedenza conferito all'istituto di credito”.

Avv. Stefano Di Salvo

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