“Una buona gestione della vita lavorativa degli esseri umani, del modo in cui si guadagnano da vivere, lì può rendere migliori e migliorare il mondo e, in questo senso, può essere una tecnica utopistica e rivoluzionaria.”
Abram Maslow
L’insegnamento è stato sempre considerato un mestiere caratterizzato da elementi valutati come previlegi: orari ridotti, vacanze prolungate, ecc. Chi ha insegnanto, invece, sa bene quanto sia un mestiere delicato e complesso e quanto lavoro sommerso risieda dietro le ore di docenza frontale. inoltre, l’insegnamento è un lavoro di helping professional, di aiuto, di relazione diretta con l’utenza, molto coinvolgente.
Se circa cento anni fa Luigi Einaudi dichiarava: “la scuola logora”, oggi la situazione è precipitata vertiginosamente. Il riformismo continuo che dal 1992 ad oggi ha partorito cinque riforme previdenziali senza aver svolto nessun accertamento sulla salute degli insegnanti, è certamente da considerarsi il primo fattore di rischio per l’insegnamento stesso. Inoltre, l’evoluzione dei saperi e l’innovazione tecnologica delle metodologie didattiche, in concomitanza all’effetto globalizzazione costituiscono altri fattori molto gravosi per il corpo docente, responsabilizzato sempre di più, in particolare, nella gestione dei rapporti con le famiglie, elemento più che mai critico e criticato nell’attuale scenario scolastico.
Un esempio lampante sotto gli occhi di tutti, oggi, in tempi di pandemia da Covid 19, tutta la categoria degli insegnanti, dalla scuola d’infanzia all’Università si è dovuta riconvertire insegnando da remoto in smart working, in tempi velocissimi. Lasciamo all’immaginazione di ognuno la visione delle difficoltà che i singoli hanno dovuto affrontare, ma questa è una questione che torneremo in seguito ad approfondire.
Gli insegnanti di ruolo in Italia sono in totale 729.668, circa l’82% sono donne e l’età media risulta essere di 54 anni.
Il valore più estremo è quello sui precari, sono 715.000; per ogni docente precario ce n’è uno di ruolo e ben sappiamo come tale situazione di precariato sia direttamente correlabile a manifestazioni dello stress, inoltre, non è nemmeno possibile, da parte dell’amministrazione, di fronte a casi conclamati, richiedere l’accertamento medico d’ufficio, fino a quando l’insegnante non ha superato il periodo di prova.
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Dalle Commissioni per l’inabilità al lavoro, i segnali sono drammatici: il 70% delle patologie degli insegnanti denunciate sono di tipo psichiatrico, mentre solo il 12% riguardano patologie dell’apparato fonatorio, malattie professionali tipiche di chi pratica l’insegnamento.
Dati provenienti dagli stati europei e dal Giappone ci riportano come in vertiginoso aumento le categorie psichiatriche come soggetto di assenteismo lavorativo nell’ambito dell’insegnamento. Anche i dati francesi e quelli inglesi manifestano la categoria degli insegnanti come quella più sottoposta al rischio suicidario.
In Italia le patologie psichiatriche del corpo docenti sono deputate per il 90 % alla depressione e per il 10% a malattie psicotiche.
Nel 1979 il 30% degli insegnanti faceva uso di psicofarmaci, oggi, che tali farmaci sono prescrivibili dal medico di base, il consumo ha assunto notevoli proporzioni: gli insegnanti che utilizzano psicofarmaci sono circa 60000. Le donne hanno una partecipazione del 70% nel consumo degli psicofarmaci; a tale proposito si ricorda che generalmente la donna ha due volte e mezzo più rischio dell’uomo di cadere in preda a sindromi psicopatologiche, si pensi alla sindrome post-parto, alla menopausa che significa quintuplicare i rischi di depressione. L’età media delle insegnanti italiane, oggi come oggi, è proprio di 51 anni, età coinvolta nei primi sintomi della menopausa.
Lo strain degli insegnanti ha fonti di tipo multidimensionale: fattori individuali psicosociali, ambientali e istituzionali agiscono in modo complesso e integrato a produrre la sindrome del distress e in casi estremi quella del burnout. Queste cause possono agire in modo sotterraneo, subdolo, fino ad insinuarsi nelle trame del lavoro quotidiano. Si tratta di un processo fenomenologico che si evolve spesso in direzione di manifestazioni patologiche come aggressività e rifiuto, indifferenza e senso di estrema solitudine.
Il fattore motivazionale gioca un ruolo chiave; l’insegnante deve poter contare su costanti e continue fonti energetiche di recupero e stimolo sempre rinnovate in modo tale da rappresentare lui stesso un elemento di creatività e innovazione emergente per i propri allievi. Purtroppo, la consapevolezza di non riuscire o essere all’altezza di tali dinamiche energetiche determina una spirale di negatività.
Tra le principali cause di distress troviamo il ruolo che i docenti svolgono nell’organizzazione scolastica e le relazioni sul posto di lavoro, insieme alle possibilità o meno di sviluppo di carriera.
I fattori di rischio sono costellati dal sovraccarico di lavoro dell’insegnante, il quale si destreggia tra programmi didattici complessi, scrutini, riunioni, corsi di formazione, e rapporti con il territorio, assumendo un ruolo spesso caratterizzato da mancanza di gratificazione.
Non solo gli stressors dovuti all’organizzazione scolastica nuocciono e mettono a rischio l’integrità individuale, ma la pluralità stessa del ruolo dell’insegnante rappresenta un elemento di distress. Il docente è soggetto ad assumere vari ruoli, in un continuo gioco di multitasking. In primo luogo è mediatore culturale, deputato a mitigare i conflitti con la cultura della società in cui vive sempre più costellata dalla complessità. L’insegnante è poi un esperto di programmazione didattica e un valutatore. Lo studio e l’aggiornamento non solo teorico-disciplinare ma tecnologico rappresentano una caratteristica fondamentale, imprescindibile allo svolgimento operativo del ruolo. Inoltre, loro malgrado, spesso i docenti, che sono implicitamente pedagogisti, si ritrovano costretti dalle circostanze ad assumere anche il ruolo di “genitore alternativo” e psicologo.
Il distress che vivono gli insegnanti è determinato anche da fatti personali come, ad esempio, la rigidità della personalità, a tale proposito, lo stesso Jung affermava che la vera educazione psicologica è trasmessa dall’insegnante e chi soffre di rigidità e personalità introversa manifesta e produce stress. Esiste poi una differenza di genere nella percezione e nel fronteggiamento dello stress scolastico: nell’insegnamento lo stress femminile sembra essere rivolto all’interiorità, l’insegnate donna somatizza l’evento stressante. Lo stress maschile è invece rivolto all’esterno: l’uomo proietta sugli altri e sull’ambiente esterno la tensione accumulata, producendo così un’atmosfera circolare di distress.
Lo stress sul lavoro nella scuola è presente a prescindere da chi lo determina, in questo caso si può affermare che lo stress è unico; lo stress dei docenti è assolutamente correlato a quello dei loro studenti e può diventarne la causa e viceversa.
In accordo con i modelli transazionali si potrebbe affermare che lo stress tipico degli insegnanti è frutto di transazione problematica tra la persona e l’ambiente. L’asse teorico-concettuale che determina e definisce lo stress lavorativo si snoda nella correlazione tra ambiente e individuo. Avallone (2011)
La quantità di lavoro è una delle variabili che determina elevati livelli di stress (Stewart, 1976); sia il sovraccarico che il sotto carico possono generare disequilibrio psico-fisiologico nell’individuo. Infatti, il disengagement lavorativo (disimpegno lavorativo) porta alla disaffezione verso il proprio lavoro. Secondo il modello di rischio Demand- Control di Karasek e Theorell (1994), nell’insegnamento il lavoro attivo, l’alto controllo, i nuovi apprendimenti e le nuove competenze che il soggetto acquisisce, favoriscono l’abilità di fronteggiamento nei confronti dello strain, insieme alle abilità lavorative acquisite si producono e si fortificano le strategie di fronteggiamento dello strain.
All’interno di una qualsiasi organizzazione, compresa quella scolastica, l’individuo necessita di potenziare al massimo le proprie capacità di adattamento in modo da potersi allineare alle continue trasformazioni del mondo del lavoro.
Il rischio psicosociale dello stress lavoro-correlato nell’insegnamento è stato a lungo sottovalutato.
Ogni epoca ha le sue malattie. Il XXI secolo in occidente vede una grande diffusione di patologie neurologiche come la Depressione, la Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), il Disturbo di Borderline di Personalità (BPD) o la Sindrome di Burnout (BD). Sono disturbi determinati da un sovraccarico di richieste.
Nella ricerca dell'Immunitas le strategie erano caratterizzate da attacco e difesa; l'obiettivo della difesa immunitaria risiedeva nell'estraneità in quanto tale. Nel nuovo paradigma l'alterità/estraneità è sostituita dal concetto della differenza; la differenza non provoca nessun reazione immunitaria.
L’attuale società globalizzata è priva di mappe che permettano di identificare con chiarezza i fattori di rischio e di elaborare protezioni. I nostri iperattivi neuroni devono fare, produrre, speculare, consumare.
Diventa imperativo riflettere per non generare a nostra volta quella società della prestazione in cui l'inconscio è impegnato a massimizzare i ricavi, con esiti di depressione, frustrazione, stress cronico.
Quando il soggetto non è più in grado di poter-fare, di affrontare lo stress, esplode la depressione come malattia di un'umanità che fa guerra a sé stessa.
Importante è chiarire che il “prendersi cura” non è “il curare” del medico. La comunicazione rappresenta invece lo strumento di cui ci possiamo servire per prenderci cura delle forme vitali; il lebenswelt diviene un aspetto fondamentale di ogni expertise professionale.
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Occorre rafforzare la consapevolezza che ogni fenomeno psichico è intenzionale; si sostiene l’istituzione di linguaggi comuni coi quali i soggetti sociali siano sempre pronti a interpretare e negoziare. Solidarietà e associazionismo, oggi più che mai, sono le parole chiave che la classe degli insegnanti deve attuare per affrontare collettivamente la grande problematica dello strain che serpeggia tra le cattedre.
La sussidiarietà cooperativa è una reale prospettiva emergente. In essa i livelli superiori stimolano i livelli inferiori alla partecipazione; ognuno può contribuire alla cura e al benessere sociale.
La grande crisi provocata dalla pandemia attuale coinvolge oltre che la sfera sanitaria ed economica, in prima persona il corpo docente che sta tentando di attuare una specie di utopia educativa del nuovo millennio, un umanesimo digitale a tutti gli effetti.
Il vero problema che la scuola deve affrontare, è l’accoglienza e la condivisione della problematica, che non può più rimanere sommersa tra le maglie dell’organizzazione tutta, ma deve essere affrontata collegialmente in una sorta di mutuo addestramento collettivo.
Innanzi tutto, è indispensabile concepire il senso di promozione al benessere quale prima fonte di prevenzione e protezione. In secondo luogo, attuare la promozione della salute come assunzione di comportamenti positivi uniti a processi di mutamento di abitudini a rischio.
L’azione di protezione di deve sviluppare parallelamente su due livelli: il livello individuale e il livello collettivo.