Quando si tratta di didattica, una serie di domande affollano la mente dello studente incline a comprendere il perché delle cose durante le lezioni di latino prima di sottostare a un sistema scolastico tanto esigente quanto, troppo spesso, poco motivante:
Simili quesiti sono degni di rispetto. Che i giovani siano assaliti da questi dubbi è infatti quasi ovvio, anche alla luce dei vizi inveterati nella scuola “ufficiale”. Una prima risposta potrebbe consistere in una selezione antologica più coinvolgente di quanto non lo siano le descrizioni militari o le arringhe politiche. La letteratura latina è tanto ricca di storie avvincenti che il materiale non mancherebbe. Molto potrebbe dirsi anche in proposito; questo articolo mira però ad altro: dimostrare l’importanza pratica dell'imparare il latino come lingua originaria comune nell’apprendimento delle lingue sorelle dell’italiano.
Presentare la matrice condivisa come alleata della memoria e dei processi mentali associativi significa nutrire l’interesse di chi studia – o deve studiare – il latino ben oltre ciò che si attende dalle lezioni private. Di norma, lo studente liceale o universitario cerca quel che definisce “ripetizioni” solo in vista di un obiettivo: il recupero di un debito scolastico e/o il superamento di un esame. Punto e basta.
Queste modeste aspettative sfidano quanti, occupandosi con passione di lezioni private, intendano trasformare tale modalità didattica in occasione di scoperta e crescita reciproca.
Assecondare i presupposti dello studente e sfruttare le sue potenzialità anche oltre le sue attese sono infatti le vere ambizioni di un insegnante privato. Tale meta è ben raggiungibile perché:
Meno perplesso sui meriti applicativi del latino come “lingua viva”, il nostro studente si riconcilia così con quanto gli pareva sterile, ormai persuaso che imparare il latino meriti attenzione al di là di una generica importanza del passato. Intuisce insomma sia che la scelta del proprio istituto ha avuto senso sia che le lezioni private che segue non sono né mere ripetizioni di un già sentito magari non del tutto assimilato né… astratte petizioni di principio.
Senza altra pretesa se non quella di dare un’idea della posta in palio, passiamo alle prove a sostegno dell’assunto: la lingua madre mi aiuta con le lingue figlie.
Il primo passo sarà necessariamente arbitrario: partiamo dal francese, materia scolastica obbligatoria o lingua d’elezione per diversi studenti di latino – liceali del linguistico o di altri istituti ovvero universitari iscritti alle facoltà umanistiche.
I limiti di spazio consentono appena rapidissimi accenni alla collocazione del francese tra le lingue discese dal latino; nondimeno, ricorderemo che:
Senza la minima pretesa, le seguenti corrispondenze sono un modesto assaggio di quanto le lezioni di francese possano prendere in prestito dalle lezioni private di latino per migliorare il rapporto dello studente non solo con la lingua classica di Roma, ma anche con l’idioma romanzo moderno compreso nel programma scolastico o universitario.
Il passaggio da una vocale più aperta a una più chiusa è quanto mai atteso in una lingua che tende all’indebolimento dei suoni fino alla perdita di intere sillabe. Abbiamo così:
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Le vocali sono però assai spesso condizionate dalle consonanti limitrofe. Si spiega così, ad esempio, il tipico uso dell’accento circonflesso, apposto su una vocale anticamente preceduta da una /s/:
Un ulteriore adattamento emerge quando le vocali /a/ od /o/ precedono i gruppi consonantici -lc-, -lt- /-ld-, -lb-/-lp-/-lv- o -ls-, dove la prima consonante si labializza in /u/:
Questo mutamento è del resto condiviso sia da altre lingue e dialetti romanzi sia da certi idiomi germanici – si pensi, ad esempio, al napoletano sausizza ‘salsiccia’ e al siciliano sautari ‘saltare’, ma anche al nederlandese houden ‘tenere’ (cfr. inglese to hold, tedesco halten, danese holde) e oud ‘vecchio’ (cfr inglese old, tedesco alt, svedese äldre ‘più vecchio’).
La palatalizzazione ricordata negli esempi relativi al passaggio dalla /a/ alla /e/ coinvolse anche le consonanti velari precedenti. Il mutamento si verificò però anche in assenza della trasformazione della /a/ in /e/. Alcuni degli esempi già citati valgono anche qui:
acheter < *adcaptāre ‘comprare’ (cfr. siciliano accattari ‘comprare’ per il senso, italiano accattonare per la fonetica)
Altro tratto tipico è poi la lenizione della /p/ intervocalica. Alcuni esempi ci consentiranno una piccola considerazione extra:
Come accennato, il fenomeno affiora talvolta anche in italiano standard – cfr. sovraesporre e simili -, nonché, con maggiore sistematicità, nei dialetti settentrionali definiti appunto “gallo-romanzi” in quanto più affini al francese.
Il discorso sui tratti innovativi della lingua di Molière inferibili dal confronto col latino potrebbe proseguire a lungo; ma quand’è che il francese aderisce al modello latino più fedelmente dell’italiano? Ne parliamo brevemente qui di seguito.
Gruppi consonantici
I gruppi consonantici latini cl-, fl-, pl- sono assai ben conservati in francese. Nei termini dotti e nei composti, questo comportamento appare anche nell’italiano, ma con minore sistematicità. Eccone un breve elenco:
Altri elementi arcaici
Quanto alle desinenze verbali, conservano, almeno graficamente, il modello antico:
ils disent, ils font, ils conduisent, ils perçoivent, ils courent, ils donnent (‘dicono’, ‘fanno’, ‘conducono’, ‘percepiscono’, ‘corrono’, ‘donano’) rendono infatti ciò che in latino suona come dicunt, faciunt, conducunt, percipiunt, currunt, donant. Al di là del suo riflesso o meno nella pronuncia, la -nt della terza persona plurale latina rimane in francese.
E la terza persona singolare? Ça me plaît assez corrisponde al latino mihi multum placet, dove assez proviene comunque da (ad) satis – cfr. italiano soddisfacente, inglese satisfaction, a sua volta ripreso dal francese nell’accezione di ciò “che è (più che) sufficiente”. Quella stessa -t finale ravvisabile all’indicativo presente di un verbo un po’ speciale, riaffiora in tutti i verbi in altri contesti. Il caso dell’indicativo imperfetto è forse il più facile da spiegare: elle chantait (‘lei cantava’) < illa cantabat (< canebat); l’ascendenza latina della -t traspare però anche nel condizionale: elle chanterait (‘lei canterebbe’) lo dimostra.
Quanto alle altre desinenze, l’origine latina è altrettanto chiara: tu chantes < cantas (< canes) ‘canti’; tu ris < rides ‘ridi’, tu fais < facis ‘fai’ – e siamo alla seconda singolare. Ma abbiamo anche: nous chantons < cantamus (< canimus) ‘cantiamo’; nous rions < ridemus ‘ridiamo’; nous faisons < facimus ‘facciamo’; vous chantez < cantatis (< canitis) ‘cantate’; vous faisez < facitis ‘fate’, e così via.
Oltre che nella grafia, se la -t desinenziale latina si trova nella frase fra due vocali, la sua presenza si riflette anche nella pronuncia: de quoi s’agit-il? ‘di che si tratta?’
Restando nell’ambito delle domande, a ogni avverbio interrogativo cur? ‘perché?’ corrispondeva in latino una risposta con quā rē ‘per il fatto che’. Accanto al tipo pourquoi?, cui si risponde con parce que, esiste la coppia pourquoi?... car – che deriva direttamente da quā rē in latino. Su questo ablativo quā rē da rēs (nominativo singolare) torneremo fra un attimo.
Oltre a rappresentare la desinenza della terza persona plurale di un verbo, -nt è anche il suffisso del participio presente – cfr., in italiano, benevolente, accogliente, sorridente ecc. Questo suffisso compare anche in francese. Ora, il participio presente latino può tradursi talora in italiano come gerundio: id fecit ridens (< *rident-s) ‘lo fece ridendo’ (alla lettera: ‘ridente’). Ebbene, in francese riant vale ‘ridente’ e en riant ‘ridendo’ – cfr. l’uso italiano del francesismo en passant ‘di passaggio’ (alla lettera: ‘passando’).
Arcaico, in francese, è anche il riflesso del latino rēs ‘cosa’, che in italiano ha dato la realtà come “(l’insieme del)le cose esistenti”. Il contesto è negativo, ma rien ne va plus significa, letteralmente, “non va più (neanche) una cosa” = “non vale più niente” – sebbene esista anche néant < *ne entem ‘non un (solo) ente’ (cfr. l’opera di Jean-Paul Sartre L’Être et le Néant ‘L’Essere e il Nulla’).
Tra i sostantivi, colpisce la persistenza, per esempio, di certi sostantivi neutri latini della terza declinazione, come corpus (in francese: corps) e tempus (in francese: temps). Altrettanto sorprendente è la conservazione della desinenza del nominativo maschile della seconda declinazione in fils < filius. Se, infatti, il mantenimento di -s finale nei verbi torna in altre lingue sorelle – lo spagnolo e il portoghese, ad esempio –, ciò non vale né per i sostantivi ora ricordati né per gli avverbi dedans < de + intus ‘dentro’, dessous < de + subtus ‘sotto’ e très < trans ‘molto’ – con evoluzione di significato dal senso originario di ‘oltre’.
Fra le preposizioni, spicca l’aspetto conservativo di jusque < (inde +) usque – cfr. jusqu’à la fin < usque ad finem ‘fino alla fine’.
La palma dell’arcaismo spetta comunque alla locuzione avverbiale à l’instar de < instar (+ genitivo) ‘a somiglianza di/pari a/alla stregua di’, che non ha paragone da questo punto di vista fra le lingue romanze – es.: à l’instar d’un arbre > instar arboris ‘a somiglianza di un albero’.
Questa rapida comparazione tra latino e francese allude al travaglio di una lingua madre di sorelle. Chi intenda le lezioni private come approfondimento dell’idioma di Cicerone e, insieme, del francese, per contrasto o per analogia con l’italiano, può intuire come lo studio del latino sia quello di una lingua viva generatrice di lingue vive. Coerentemente, i prossimi post si rivolgeranno agli studenti in cerca di “ripetizioni” disposti a ravvisare nelle lezioni private qualcosa di più della… ripetizione di quanto già orecchiato. Si tratterà di studenti di latino interessati allo spagnolo, al portoghese o a entrambi i più parlati idiomi iberoromanzi.